Vecchi leoni: Gianni Linossi

di MASSIMO DI CENTA

Gianni Linossi, classe 1955: non sappiamo se avesse un soprannome all’interno della sua squadra, ma per tutti gli altri, gli avversari, era semplicemente il “rosso di Moggio”. L’aspetto cromatico della capigliatura era un segnale distintivo, forse perché i rossi (come i biondi, del resto) chissà perché in campo risaltano sempre più degli altri. In lui, poi, in modo particolare, visto che la maglia della squadra di tutta la sua vita da calciatore era quella bianconera della Moggese. Nato a Cave del Predil, arrivò a Resiutta, quando il padre andò in pensione e proprio a Resiutta incontrò nuovi amici che lo portarono con loro a giocare a Moggio. Qui incontrò Otello Petris e con lui si instaurò subito un rapporto speciale: Gianni era un ragazzo serio, uno che prendeva con molto impegno le cose cui si dedicava e Petris lo prese a ben volere. Linossi ricorda spesso che per lui Otello Petris è stato come un padre, soprattutto dopo la scomparsa del papà vero: lo considerò come una figura di riferimento, nel calcio ma anche nella vita di tutti i giorni.

Fu proprio Petris a farlo esordire con gli Allievi, schierandolo in quel ruolo di stopper (o difensore centrale, come si dice oggi) che Linossi non abbandonerà mai più. La circostanza di non aver fatto tutta la trafila nelle giovanili (l’inizio carriera a 15 anni è penalizzante in tal senso) non gli aveva permesso di sviluppare quei fondamentali che bisogna iniziare ad acquisire in giovanissima età, ma Petris aveva intravisto nel ragazzo potenzialità enormi a livello fisico: grinta, coraggio e tempismo non gli facevano difetto e a quel temo per un difensore non era così importante avere i cosiddetti piedi buoni. Una capacità di concentrazione fuori dal normale, poi, lo rese uno dei marcatori più implacabili di quegli anni. La famosa frase “Dai di testa, no…”, tanto cara a Petris, trovò in Linossi l’apoteosi, visto che la sua chioma rossa era spesso scossa dal pallone, a qualsiasi altezza arrivasse la sfera.

Il primo campionato con gli Allievi si rivelò un trionfo, visto che i bianconeri alla fine lo vinsero, superando due squadroni come Mobilieri e soprattutto Pro Tolmezzo, che sembravano molto più attrezzate e l’anno successivo ad essere messa sotto fu la Gemonese in un torneo giovanile disputato proprio a Moggio.

Intanto Gianni cresceva e in molti cominciarono a notarlo, soprattutto gli avversari: ma mica per i capelli rossi… Col tempo stava acquisendo sicurezza e padronanza del ruolo, affinando il senso dell’anticipo e i giusti tempi negli interventi. Quelli che hanno passato i 50 anni si ricorderanno di Roberto Rosato, stopper di grande temperamento che giocò con Torino, Milan e Genoa, campione d’Europa nel 1968 e vicecampione del mondo in Messico nel 1970. Ecco, Linossi lo ricorda un po’ nel modo di giocare: quelle gambe a “ics”, per esempio, non un modello di armonico equilibrio, in realtà garantivano una postura adeguata e non impedivano movimenti appropriati. E poi quella grinta, quel temperamento tipico dei difensore di quei tempi, ai quali si chiedeva di fare i difensori. E basta. Non c’era il giro palla esasperato di adesso: il lancio lungo, insomma, non era ancora un anatema!

Quasi impossibile ricordare le presenze effettive di Linossi nella Moggese, le statistiche, all’epoca, non potevano essere computerizzate e lui stesso ammette, con grande sincerità, di non ricordare il numero esatto delle volte in cui è sceso in campo. Di quelle partite dice di conservare bellissimi ricordi, indipendentemente dal risultato finale. Però due partite, chissà perché, se le ricorda più di tutte le altre: la finale di Coppa Carnia del 1980, vinta dalla sua Moggese contro La Delizia ed un non meglio temporalmente collocato Mercato-Moggese; iniziò quella partita in panchina per problemi fisici, ma quando entrò si tolse la soddisfazione di realizzare, nel finale, la rete decisiva. Gol ne ha fatti pochi in carriera (ai suoi tempi la partecipazione offensiva per i difensori era una specie di utopia…), ma quello al Mercato se lo ricorda, segno quindi che ci tiene.

Contro di lui si sono scontrati gli attaccanti più forti nella storia del Carnico, ma i duelli del campo hanno, adesso, lasciato spazio a ricordi ancora molto presenti quando incontra qualcuno dei suoi avversari, verso i quali dimostra di avere grandissimo rispetto. Se gli domandate qual è stato l’attaccante più forte che ha marcato è capace di snocciolare un elenco da… figurine Panini: Beniamino Infulati, Fiore Filaferro, Fabiano Mecchia, Furio Boschetti, Allido Concina, Ceresani, Rigo, Muzzin. Poi si ferma un attimo e confessa: “Quello che soffrivo di più però è stato Gino Di Gallo. Bravo tecnicamente, ben messo fisicamente e furbo, molto furbo”. Grandi duelli con lui.”.

A fine carriera, anzi ancor prima di smettere di giocare, ha voluto provare l’esperienza di allenatore nelle giovanili della Moggese. Purtroppo però il decremento demografico ha ridotto non poco la partecipazione al calcio dei ragazzi e questo lo ha definitivamente convinto a chiudere la carriera di tecnico. Non segue molto il Carnico adesso. Non è un disinteresse verso il movimento, ma piuttosto la constatazione che il calcio è cambiato: una volta i ragazzi avevano in testa solo il pallone e vivevano per arrivare alla partita della domenica. Di quel calcio ricorda una velocità che adesso potrebbe far sorridere, ma un livello tecnico superiore e il principio fondamentale del “tutti per uno, uno per tutti”, che garantiva un profondo senso di squadra, tanto è vero che ancora oggi si trova con i vecchi compagni di squadra almeno un paio di volte all’anno. Per ricordare quelle partite, quel gol, quell’intervento… E poi l’amore per la squadra del paese, sentire quella maglia come una seconda pelle. E quello di Gianni Linossi per la maglia della Moggese deve essere stato un amore davvero forte: comd avrà fatto, lui interista d’origine controllata, a sopportare sulla pelle il bianconero… Roba da orticaria!

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