Pontebba piange Mauro Fabris, una vita in biancazzurro

di MASSIMO DI CENTA

Nella notte tra domenica 9 e lunedì 10 luglio si è spento, dopo lunga malattia, Mauro Fabris, 89 anni, presidente onorario della Pontebbana e padre di Marco (attuale tecnico della formazione biancazzurra). È stato un pioniere del calcio pontebbano, dalla fondazione della società nel 1948. Una vita dedicata alla famiglia, al calcio e alla sua Pontebbana. L’impegno più profondo dedicato soprattutto ai ragazzi, allenando intere generazioni di giovani futuri calciatori. Non si esagera nel dire che per oltre 75 anni è stato l’anima della società, trasmettendo la sua grande passione al figlio Marco, appunto, e ai nipoti Davide e Stefano, calciatori rispettivamente del Tolmezzo e della Gemonese. 
L’ultimo saluto a Mauro Fabris sarà dato mercoledì 12 luglio alla 10.30 presso la chiesa Santa Maria Maggiore di Pontebba.
Riproponiamo le pagine a lui dedicate nel libro “60 anni di Carnico”.

Mauro Fabris

La storia di Mauro Fabris e quella della Pontebbana, nel Carnico, iniziano assieme. Un provino con la Triestina, si era nel 1950, sembrava avesse avuto esito favorevole ed invece non se ne fece niente. In Mauro rimase il rimpianto, è ovvio, ma quando non si hanno ancora 20 anni c’è posto per altri sogni o, magari, si finisce per accontentarsi di ciò che si ha. E Mauro forse aveva già molto: un padre calzolaio (l’indimenticato Nadalin, uno dei fondatori della Pontebbana) che lo seguiva su ogni campo con un treppiedi in ferro per ribattere i chiodi di scarpini da gioco oggi nemmeno immaginabili; una passione enorme per il gioco del calcio che non sarebbe diventato la sua professione, ma avrebbe comunque fatto parte della sua vita; un gruppo di amici con i quali condividere giorni e passioni. Questo gruppo di amici, assieme ad alcuni militari di stanza a Pontebba, andarono a formare la prima Pontebbana. Quella che giocava su un campo diventato tale grazie all’intervento di ruspe enormi, come non si erano mai viste! Quelle ruspe avevano ricavato un posto vicino al vecchio argine del fiume, rimasto intatto quasi a costituire una sorta di sbarramento naturale. Su quell’argine campeggiava una scritta enorme, “Gnanca se moro”, facile suggestione tra una guerra finita da poco (e che quindi aveva abituato alla sofferenza estrema) e le cose che tornano alla normalità. Non si cede, insomma, né sul campo di battaglia né su quello di calcio! E figuriamoci se uno come Mauro poteva arrendersi: la serie A era già dimenticata e la Pontebbana, l’anno successivo, conquista il suo primo scudetto. Superfluo ricordare che Fabris è uno dei protagonisti di quel titolo, così come lo sarà dei due conquistati con la Moggese agli inizi degli anni Sessanta. Lui era il prototipo del difensore di quei tempi: attento, concentrato, duro ma non sleale. Allora la zona non si sapeva neanche cosa fosse e la prima cosa che un difensore doveva imparare era la marcatura rigida ed asfissiante dell’attaccante che gli veniva dato in consegna. Così come lo era nel fisico, Fabris era tosto anche di carattere. Ogni tanto il suo temperamento impulsivo e genuino lo portava ad avare qualche problemino con avversari ed arbitri. Lui dice, comunque, di non aver mai passato il limite del regolamento, ma un suo avversario dell’epoca (che ha chiesto di restare anonimo) invece, parla di qualche intervento duro, certamente non vigliacco, ma un pochino oltre quel regolamento…

Di quegli anni ci sarebbero tante storie da raccontare e Mauro le va a ricercare. Ma più che storie sono lampi della memoria, situazioni e personaggi che tornano portandosi dietro un pezzo di gioventù. Le trasferte affrontate in treno o in bicicletta, le linee dei campi segnate con la segatura, quando andava bene, perché in certi casi si faceva ricorso anche al brecciolino dei viali cimiteriali e caderci sopra, magari in scivolata (gesto che Fabris compiva spessissimo per anticipare l’avversario di turno) non era propriamente il massimo. E gli spogliatoi? Baracche improvvisate o più semplicemente alberi dove appoggiare i vestiti. Docce? I corsi d’acqua della zona potevano bastare. Quella era una generazione abituata alle sofferenze e l’arte di arrangiarsi era un modo di vivere, non certo di sopravvivere!

Oppure quella volta che la sua squadra stava perdendo e lui cercò in tutti i modi di bucare il pallone per far sospendere la partita. Coi chiodi, però, evidentemente non aveva la stessa dimestichezza del papà e non ci fu verso di bucare il cuoio e allora, come per incanto, il pallone sparì… E poi i compagni di squadra, come Franco Franzil, un passaggio all’Atalanta, o Bruno Macor, detto Armaron, che chiedeva le ferie esclusivamente per andare nel bosco a far legna.
Mauro (all’epoca dell’uscita del libro quasi ottantenne, ndr) segue sempre il Carnico e la sua Pontebbana: suo padre Natale e suo figlio Marco sono gli estremi di una generazione che ha speso tanto del loro tempo al “Cancianini”. Ma è un campionato nel quale, ora, si riconosce poco: non c’è più quella sana passione, il calcio una volta era scuola di vita, ora è lo specchio di atteggiamenti sbagliati. Inammissibile farsi squalificare di proposito per andare in ferie. Quelle ferie alle quali chissà quante volte magari avrà dovuto rinunciare la moglie Annmaaria, sempre paziente e comprensiva. Di lei Mauro dice che non ha mai ostacolato la sua passione: lo rimproverava solo quando si lasciava andare a qualche espressione colorita…

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