LA FINALE DEL CAPITANO: RICCARDO MOROLDO

di MASSIMO DI CENTA

Riccardo Moroldo, 29 anni, capitano del Villa, quella di mercoledì ad Osoppo con il Cavazzo è per te la finale di Coppa numero?

Si fa presto a fare il conto: questa è la seconda, dopo quella vinta a Pesariis nel 2017.

Cosa ne pensi della scelta di Osoppo come sede della finale e, più in generale, quale sarebbe la tua proposta per l’atto conclusivo della manifestazione?

Diciamo che la struttura, per noi calciatori, è ottima: campo e spogliatoi sono all’altezza. Se qualche perplessità si può avere questa è legata esclusivamente alla gestione degli spettatori. Alle finali c’è sempre tanta gente, ma conoscendo le capacità organizzative del presidente della Nuovo Osoppo e dei suoi collaboratori, alla fine tutto andrà alla grande. Chiaramente il nostro campo, quello di Villa, ha tutte le caratteristiche per essere considerato il più idoneo ad un evento del genere, ma ritengo giusta la scelta della finale ogni anno in un campo diverso. Chi partecipa al campionato Carnico, dalla Prima alla Terza categoria, ha il diritto di poter vivere questa esperienza, che è pesante, magari, dal punto di vista organizzativo, ma rappresenta una gratificazione enorme per tutti quei dirigenti che lavorano per la propria squadra.

È più difficile affrontare una finale da favorito o da possibile sorpresa?

Io sono alla mia seconda finale, come detto, e stavolta, come l’altra, non parto di certo da favorito. Però in 90’ è davvero difficile prevedere cosa può succedere: il doppio confronto ti consente di fare calcoli, di speculare. In una partita sola non è possibile: si va in campo e si dà tutto quello che si ha dentro.

Cosa temi dei tuoi avversari e dimmi un giocatore che non vorresti vedere nella lista gara?

Il Cavazzo è una grande squadra, dove tutto funzione alla perfezione: il loro centrocampo rasenta la perfezione per qualità e quantità di soluzioni. Se potessi evitare di trovarmi di fronte un loro giocatore, allora sceglierei Mirco Burba: Mirco è uno imprevedibile e questo già basterebbe per catalogarlo come elemento pericoloso. Ma all’imprevedibilità aggiunge una buona base tecnica, la generosità ed la rapidità di esecuzione, tutte doti da poterlo definire, da parte di noi difensori una rogna. 

Il tuo pronostico?

Vinciamo noi 2 a 1. La butto là…

Perché?

Non so dare una spiegazione a quanto ho detto: so solo che onestamente eravamo partiti con ambizioni sicuramente diverse da quello che poi è stato il responso del campo. È vero che abbiamo cambiato molto rispetto alla scorsa stagione e probabilmente c’è voluto del tempo per mettere a posto certi equilibri, certi meccanismi. Nel frattempo però le altre vincevano e quando le cose hanno cominciato a sistemarsi il gap era diventato troppo ampio. A quel punto, inevitabilmente, qualche stimolo è venuto meno. Vincere la Coppa significherebbe dare un significato enorme alla nostra stagione ed io punto proprio su questo: alla capacità, mia e dei miei compagni, di dare il massimo in una serata. Ci resta solo la Coppa, insomma, e se sapremo essere umili, decisi e “cattivi” potremo anche pensare di farcela. Se loro faranno un errore, anche un solo piccolo errore, noi dovremo essere spietati.

Il tuo ricordo più bello di quella finale disputata due anni fa.

Fu una serata strana: quel black out improvviso, coi riflettori parzialmente spenti, di sicuro fu più dannoso per loro che per noi. Eravamo in parità e per il Cavazzo la soluzione di affidarsi ai calcio di rigore sembrò quasi inevitabile. E invece quel pallonetto di Daniele Iob per il gol decisivo cambiò tutta la storia. Ecco, di quella serata ricordo l’attesa interminabile degli attimi in cui aspettavo di vedere dove sarebbe finita la parabola del tiro di Iob e l’emozione di quando sollevai la Coppa al cielo. Un momento che ricorderò sempre con emozione e orgoglio.

(foto di Alberto Cella)

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