Vecchi Leoni: Antonio Nodale

di MASSIMO DI CENTA

Antonio Nodale è un tranquillo signore di 72 anni. Vive a Sutrio, dove gestisce assieme alla moglie Alida ed ai figli Gisulfo e Marisa, un supermercato. Per tutti è semplicemente “Toni” ed è strano come, nel paese dei soprannomi, per lui non si è trovato di meglio che un diminutivo del nome. Quel “Toni” se l’è portato appresso da quando, negli anni d’oro dei Mobilieri, giostrava a centrocampo, con eleganza e giocate sempre semplici ma tremendamente efficaci.
Di quella squadra ha indossato per molti anni la fascia da capitano e la scelta non era solo per la militanza (coi “maggiolini” ha giocato praticamente per tutta la sua vicenda agonistica) ma anche e soprattutto per il modo che aveva di interpretare il calcio: elegante, leale e sempre positivo.
Centrocampista di ingegno, mezzala di stampo classico, una di quelle che faceva gioco, lasciando al medianaccio di turno il compito di “rompere” le manovre altrui. Solo e sempre Sutrio, eccezion fatta per una brevissima esperienza nelle giovanili del Tolmezzo (da cui tornò subito, perché non si sentiva a suo agio) e l’ultimo anno di carriera al Paluzza, quasi a rendere onore agli avversari di tanti derby, partite che lui sentiva in modo particolare. Per anni, insomma, il n. 8 delle divise gialloblu ha avuto un solo proprietario, “Toni”, appunto.

Il racconto che ha ci fatto della sua carriera non è infarcito di numeri o statistiche: di quel periodo ricorda atmosfera e persone, perché i risultati sono stati importanti (per lui 3 scudetti e un quarto vissuto non proprio da protagonista, visto l’impiego un pochino più scarso). Erano i Mobilieri degli anni d’oro, si diceva, una squadra composta con quasi tutti giocatori del paese, nel nome di una filosofia che poi diventerà tradizione.  L’antitesi perfetta dei rivali del Paluzza, che molto spesso facevano ricorso a molti elementi di leva nella caserma “Plozner Mentil”. E quella squadra rigorosamente “made in Sutrio” sapeva coinvolgere il paese intero tanto che (ricorda Nodale) la domenica potevi girare nudo per il paese, tanto erano tutti al campo.
Ma il supporto non mancava neanche in trasferta: la società organizzava corriere da 60 persone, dove trovavano posto anche mogli e fidanzate dei giocatori. Gli anni di “olio, petrolio, benzina minerale, per batter il Sutrio ci vuol la Nazionale”, il canto ritmato dai supporters gialloblu, con goliardica partecipazione da parte di tutti e che non prevedeva l’offesa dell’avversario. Altri tempi, altra educazione, altra cultura. Secondo “Toni”, il maggior artefice di tutto questo risponde al nome di Franco Quaglia, il presidente che più di ogni altro seppe coniugare lo spirito della squadra con quello del paese, creando un senso di appartenenza davvero forte. 

Di quella squadra straordinaria ricorda i compagni e l’intesa sul terreno di gioco: il primo pensiero va a Elio De Reggi, dal quale ereditò la fascia da capitano. Aulo Bearzi, portiere affidabile, prerogativa non da poco in un’epoca in cui dovevi essere “matto” per interpretare il ruolo. Diego Mattia, la grinta ed il temperamento in nemmeno 170 centimetri di nervi e muscoli. Fiore Filaferro, bomber implacabile, di quelli che imponeva il calcio di una volta: uomo d’area, si diceva, e l’area per Fiore era un piccolo regno. Elvio Dorotea, ala destra, veloce che invece di stare largo e crossare (come fanno gli esterni di oggi) si accentrava e concludeva in porta con esiti quasi sempre favorevoli. Insomma, Bearzi parava, Mattia conquistava palla e lui metteva in moto o Filaferro o Dorotea. Tutto molto semplice.
Come semplici, sottolinea, erano i tecnici di una volta: uno dei suoi primi allenatori fu Tarcisio Pascoli, un friulano che aveva sposato una ragazza di Sutrio. Appassionato di calcio, non portò magari particolari accorgimenti tattici, fidandosi del “palla lunga e pedalare” molto in voga quegli anni, riuscendo però a creare quel gruppo che dopo tanti anni riportò lo scudetto nel paese dei
marangons. Già più perfezionista si dimostrò Sergio Maieron, professore di educazione fisica di Paluzza, precursore nel programmare la preparazione e a buttar giù qualche schema. Al centro di tutto, però, ricorda Nodale restava Franco Quaglia, un presidente generoso e quanto mai amato da tutti i suoi giocatori, per aver saputo creare una famiglia più che una squadra.  E poi ricorda anche un’altra persona, Modesto Selenati, uno di quei tuttofare che fanno la fortuna delle società: lui falciava il campo, puliva gli spogliatoi, faceva il massaggiatore e non si tirava mai indietro.

La partita che non riesce proprio a dimenticare è un Ampezzo-Mobilieri del 1972: penultima giornata, coi sutriesi avanti di un punto. Facile intuire come quella domenica si decidesse tutto. Tensione a mille e Ampezzo in vantaggio per 2 a 0 alla fine del primo tempo. Nella ripresa, fu proprio “Toni” a siglare il pareggio mettendo a segno due calci di rigore, sopportando il peso di un’incredibile pressione psicologica. 

Non ricorda avversari sleali e quando si parla del giocatore più forte che abbia incontrato non ha dubbi: Gianfranco Petris, uno che aveva conosciuto la serie A (quasi 200 presenze e 44 gol tra Fiorentina e Lazio) e la Nazionale (4 presenze e un gol all’Austria al “Prater” di Vienna). Lo incrociò a fine carriera, quando Petris tornò nella sua Ampezzo. “Nonostante fosse a fine carriera – ricorda Nodale – si vedeva subito che era di un’altra categoria”.

Del calcio e dei Mobilieri si interessa ancora molto e non perde una partita in casa dei “belli gialli”, riuscendo spesso anche ad andare in trasferta. Nel suo negozio, naturalmente, si parla molto di calcio, anche perché ci lavora Rudy Straulino, uno dei migliori portieri prodotti dalla Carnia: tra i discorsi sul Carnico e le discussioni sulla serie A (Rudy è juventino, “Toni” milanista) gli argomenti non mancano…

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