Di Bello dalla retrocessione con il Paluzza a vice allenatore della Gemonese

di MASSIMO DI CENTA

Avevamo lasciato Giacomo Di Bello con la retrocessione del Paluzza e dopo poche settimane lo ritroviamo come secondo di Kalin sulla panchina della Gemonese. Un bel salto di qualità, vero, Giacomo?
«Guardando le due categorie, ovviamente il salto c’è ed è sicuramente stimolante – risponde -. Poi quando a muoverti c’è la passione, l’impegno che ci si mette è il medesimo. Come dici tu il salto di qualità c’è e per vari aspetti è un contesto diverso, ma tengo a sottolineare che diverso non significa necessariamente migliore. Così come mi trovavo bene nel Carnico altrettanto a mio agio e bene mi trovo dove sono ora».

Sei al lavoro da qualche settimana: come ti trovi nel calcio regionale?
«Riprendendo la risposta precedente bene, molto bene. A livello puramente di campo i 3 allenamenti settimanali consentono di lavorare in modo più completo ed organico riuscendo a toccare vari e molteplici aspetti che sono difficili da gestire con solamente due allenamenti. Per quanto riguarda il contesto generale quello che circonda il campo, mi riferisco assetto e gestione societaria, seguito ed attenzione dei mass media, tutto è curato con attenzione. Tutto questo è sicuramente stimolante e gratificante».

Qual è il tuo spazio nel ruolo di vice allenatore?
«Inserirmi nello staff tecnico e nelle dinamiche di squadra è stato facile e di questo va dato sicuramente merito alle qualità, in primis umane, di mister Peter Kalin e degli altri componenti dello staff, Michele Fornasiere, allenatore dei portieri, e Marco Cattai, preparatore atletico e non da ultimo della società. Con mister Kalin l’intesa lavorativa è stata facile innanzitutto perché la metodica gestionale di entrambi è volta al dialogo ed al confronto, con società, staff e giocatori, con ovvio rispetto dei ruoli e poteri decisionali, il tutto con impegno non professionistico ma professionale. A questo si aggiunge la sua idea di calcio che condivido totalmente, in quanto improntata al “gioco”, al lavoro, al divertimento, alla crescita ed al miglioramento costante di staff e squadra. Sempre con un occhio ai risultati che sono e devono essere conseguenza di tutto questo. A livello puramente operativo, come detto, c’è un totale rispetto dei ruoli, ma questo non preclude un costante confronto e scambio di idee su tutti gli aspetti che vanno dalla preparazione e svolgimento degli allenamenti, alla preparazione ed analisi delle partite, alla gestione dei ragazzi come singoli e come collettivo. In tre parole, insomma, lavoro, confronto e crescita riassumono quella che alla Gemonese ho trovato».

Te la sentiresti di guidare una squadra del calcio regionale?
«Senza peccare di presunzione ti rispondo sì, ma la parola “sentirmela” la sostituirei con “mi stimolerebbe”. Quello che mi e ci spinge a “fare” calcio, è la passione e come in tutti i settori, la passione porta con se una certa dose di ambizione che stimola a confrontarsi a livelli crescenti. Ma l’ambizione ritengo non debba essere cieca bensì accompagnata da un costante lavoro di miglioramento e crescita, che alla fin fine sono gli aspetti che mi hanno portato alla Gemonese. Ragion per cui, oggi vivo la Gemonese e metto il mio massimo impegno per il sodalizio giallorosso, poi quello che il futuro calcistico mi proporrà, panchina inclusa, lo coglierò e lo vivrò con passione ed equilibrio. Permettimi di chiudere questa chiacchierata con un grande in bocca al lupo a tutto il movimento del nostro Carnico, che con l’avvio della preparazione pre-campionato a breve entrerà nel vivo».

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