Le donne del Carnico: Miriam Cacitti

di FEDERICA ZAGARIA

Ho pensato mille volte se fosse stato il caso di fare, o meno, quest’intervista. In certi momenti non mi sembrava opportuno, ma poi ho pensato che se non fossi stata io a curare questa rubrica, ma un’altra persona, sicuramente avrebbe scritto anche di lei, per cui perché negarle quest’esperienza? Solo perché chi scrive è sua figlia?
Questa volta vi racconterò, infatti, di mia madre, Anna Maria Cacitti, che tutti conoscono solo come Miriam. Lei e mio padre Giovanni sono sposati da quasi cinquant’anni e chi ha condiviso con lui i trascorsi calcistici, non può non conoscerla, perché lei c’è sempre stata al suo fianco a supportarlo. Credo, infatti, che le partite che si è persa durante la “carriera” di mio padre, si possano contare sulle dita di una sola mano. Inoltre è per merito loro e della passione che hanno sempre avuto per il Campionato Carnico e, per il calcio in generale, che la sottoscritta ama il calcio e, di conseguenza, adora scrivere su questo sito.
Inutile dire che i due si sono visti per la prima volta su un campo di calcio e che Miriam, per non far vedere che era rimasta colpita dal portierone dell’allora Pro Tolmezzo, appena sceso in campo, lei in tribuna ha commentato «che goffo quel portiere!», anche se in realtà la frase esatta è stata «ce scuencjio chel portîr!» ed era così poco attraente che, un anno dopo, se l’è sposato!
Bisogna anche sottolineare che lei, però, ha conosciuto prima il Carnico rispetto Giovanni. «Mio padre Federico nei primi anni ’70 era vice presidente dell’allora A.S. Caneva, squadra della frazione tolmezzina ed io, oltre che esserne insieme a tutta la mia famiglia, accanita tifosa, facevo la bigliettaia all’ingresso del campo sportivo. Una volta che poi la società del Caneva si è sciolta, insieme ai miei genitori ho cominciato a seguire la Pro Tolmezzo, perché alcuni nostri ex giocatori erano approdati lì ed è così che ho conosciuto mio marito. Come si può capire dai miei pregressi – racconta ancora – sono cresciuta in una famiglia di appassionati di calcio. Mia madre, per far sentire a casa i giocatori che provenivano da fuori, cucinava spesso per loro. Sono tifosa dell’Inter, dell’Udinese e sostengo moralmente anche l’Argentina, mio Paese natio».

Dopo l’esperienza alla Pro Tolmezzo, com’è avvenuto il tuo appodo nel Carnico?
«C’e stato uno stacco dall’ambiente calcistico dovuto ai nostri impegni familiari. Poi nel 1985 Giovanni ha ricominciato a giocare e dopo aver fatto per molto tempo il portiere nel Cedarchis, ha avuto, proprio con i giallorossi, la sua prima esperienza come allenatore. In realtà in quei primi anni ’90 eravamo impegnati continuamente con il calcio, perché d’estate, seguivamo, appunto, il Carnico e poi d’inverno non perdevamo nemmeno una partita dell’U.C. Tolmezzo, di cui Giovanni allenava i portieri. Insomma. per la felicità mia e di tutta la famiglia, non c’era sosta.”

Tuo marito, dopo l’esperienza nel Cedarchis, è passato al Fusca ed ha allenato anche altre squadre: che esperienze hai avuto a riguardo?
«In tutte le squadre che ha allenato abbiamo avuto ed abbiamo ancora ottimi rapporti. Ci sono dei ragazzi, ormai diventati uomini, che tutt’ora sentiamo e ci dimostrano il loro affetto. Col Fusca Giovanni ha festeggiato la sua prima grande vittoria nel 1995, quando, dopo due spareggi, ha ottenuto con dei ragazzi fantastici la promozione in II categoria. Mi ricordo ancora, gli striscioni, la festa, attimi indimenticabili e pieni di emozione. Del Paluzza ricordo tutt’ora con grande affetto il compianto presidente Sassu, con cui c’è sempre stato un rapporto sincero che si è protratto nel tempo. Ci sono state poi anche Folgore e Verzegnis, squadre in cui ho conosciuto persone che tutt’ora stimo e molti delle quali hanno lasciato il passo ai propri figli».

Hai altri ricordi, per esempio del Timaucleulis e del Val Fella, squadre che, Giovanni, ha allenato per lunghi periodi?
«Quella col Timaucleulis è stata un’esperienza esaltante, di quelle che ti rimangono dentro per tutta la vita: una promozione in Prima categoria che non accadeva dagli anni’ 70, una vittoria cercata da tutti con orgoglio e tanto, tantissimo cuore. Con il Val Fella ci sono state delle belle stagioni calcistiche ma ciò che più ricordo con affetto è il rapporto che si era creato con mogli e fidanzate dei giocatori, un rapporto di fiducia, tifo e tanto divertimento durante e dopo le partite. Con la squadra dell’Ampezzo, invece, si era già creato un bel clima, di rispetto e fiducia: poi però abbiamo dovuto interrompere quest’esperienza a causa dell’infarto che ha colpito Giovanni a fine maggio 2011. Però anche qui i rapporti sono rimasti ottimi. Ci tengo a precisare che, tutt’ora, appena possiamo cerchiamo di andare a vedere qualche partita delle “nostre” ex squadre e che le porte di casa nostra sono sempre state aperte per i giocatori e dirigenti con cui ha collaborato mio marito. Sono infatti famose le serate a base di pizza, fatta appositamente da me, che spesso si svolgevano a casa nostra dopo le partite».

Cosa ti ha regalato il Carnico e cosa invece ti ha tolto?
«Non mi ha tolto assolutamente nulla, a parte, ogni tanto, la voce (e ride, arrossendo, ndr). Anzi, mi ha regalato grandi amicizie, di cui la più fraterna è quella con il nostro compianto Gino Di Gallo e con sua moglie Marisa (la prima intervista della nostra rubrica, ndr). Con loro ci consideriamo ormai da tantissimo tempo famiglia».

C’è qualche aneddoto che ti piacerebbe condividere con i lettori?
«C’è un episodio abbastanza particolare che risale al 1988: mio marito giocava con il Cedarchis ed in uscita sul pallone, in area, si è scontrato fortuitamente con l’allora attaccante dei Mobilieri Roberto Straulino, che correva alla riconquista del pallone su cui stava, appunto, uscendo Giovanni. La peggio l’ha avuta quest’ultimo, fratturandosi tibia e perone. L’incontro si disputava a Caneva e in quell’occasione, preoccupata per mio marito, sono riuscita ad entrare in campo da un buco presente nella recinzione del terreno di gioco. Poi ci ha pensato quella bellissima persona del Giup, che ringrazierò sempre, a portare Giovanni in ospedale».

Il calcio è considerato, da molti, ambiente maschile: come ti sei sentita accolta?
«Sempre bene, a parte qualche scaramuccia durante le partite che poi si risolvevano davanti ad un piatto di pasta o ad una fetta di torta al chiosco. Credo infatti che il Carnico, pur essendo ambito maschile, funga da aggregante per intere famiglie che vanno insieme al campo sportivo».

Quanto parlate, tra le mura di casa, di calcio?
«Da noi si è sempre mangiato “pane e calcio”. Quando Giovanni allenava ancora, il lunedì a pranzo, con le posate, ci faceva vedere gli schemi con gli errori che aveva visto fare in campo. Come ho già detto, seguiamo ancora le sue ex squadre, perché abbiamo piacere nel rivedere i ragazzi che ha allenato, oltre a seguire spesso i nostri generi che sono coinvolti nel Carnico».

Come descriveresti questo nostro campionato?
«Per me è aggregazione e passione. Ne approfitto per augurare a tutti un buon Carnico 2024!».

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