Carnico Story: Beppino Deotto

Nel libro “60 anni di Carnico”, Marino Corti e Bruno Mongiat, giocatore ed allenatore del Verzegnis campione carnico 1983, ricordavano Beppino Deotto, personaggio irripetibile nel panorama calcistico di Verzegnis e non solo. Nel testo, anche alcune riflessioni sull’essenza vera dello sport che  Bepo avrebbe sottoscritto in pieno.

Con gran piacere accogliamo l’invito fattoci di richiamare la figura di Beppino Deotto, di cui serbiamo un grato e affettuoso ricordo. Per chi, come noi, ha avuto il piacere e l’onore di averlo conosciuto non servirebbero parole, perché Bepo è… Bepo e basta. Il nome dice tutto. Per chi non lo ha conosciuto possiamo dire che non è un  “personaggio” da consumare, ma una grande persona da imitare e da prendere ad esempio per l’oggi e per il domani per i positivi valori di cui fu sempre coerente testimone. In una pubblicazione dai toni sportivi viene spontanea una domanda: quale ruolo ha avuto Bepo nella comunità sportiva, e nel mondo del calcio di Verzegnis e della Carnia?

Cercheremo di rispondere alla domanda postaci riprendendo ed illustrando alcuni concetti che mettono ben in evidenza il suo modo di concepire il mondo dello sport in genere, e quello del calcio paesano in particolare. Ha vissuto il calcio attivo come giocatore quando ancora l’A.S. Verzegnis non esisteva e quando questa è sorta ha assunto un ruolo di apparente o limitato impegno: non giocatore, non allenatore, solo per un breve periodo dirigente. Bepo viene accostato al mondo dello sport in una veste di sostanza basata sul possesso, sulla divulgazione discreta e sul vissuto coerente di concetti fondamentalmente positivi sul ruolo formativo dello sport di squadra.

Non ha fatto “grancassa”, ma operato sempre con assoluta discrezione e questa sua caratteristica potrebbe far pensare e dire che non ha rivestito un ruolo tale da essere ricordato come “personaggio” del mondo sportivo carnico.

In questo abbaglio possiamo cadere solo se galleggiamo sulla superficialità e ci limitiamo a guardare al mondo del pallone da calciofili tifosi col paraocchi e molto miopi che del mondo del calcio si fermano a considerare solo una palla presa a calci. 

Se leggiamo la “realtà calcio”, scendendo un po’ in profondità ci accorgiamo che non ha senso se viene vissuta staccata dall’uomo che tesse una rete di positive relazioni interpersonali.

Da una gara si può uscire vincitori come atleti, ma sconfitti come persone. Come al contrario. Il vincitore non è solo chi segna una rete più dell’avversario, ma anche e soprattutto chi nella gara ha lealmente profuso tutte le propri energie rispettoso dei suoi compagni e degli avversari, chi si è divertito (si chiama “gioco” del calcio), chi a fine gara stringe la mano all’avversario e lo ringrazia per avergli permesso di divertirsi.

Chi gestisce o dovrebbe gestire tutta questa realtà prima umana e poi sportiva?In coro tutti diremmo: l’allenatore e i dirigenti ufficiali. Ma ci possono essere “allenatori e dirigenti” anche lontano dal rettangolo di gioco, persone che per impegni professionali non possono vivere lo spettacolo sportivo dai bordi del campo, persone ricche di valori positivi che sanno sempre trovare le frasi e le parole giuste per riportare la “realtà gara sportiva” nella sua vera dimensione, che vivono il mondo dello sport per quello che veramente è, o dovrebbe essere: uno “strumento” gioioso che aiuta a crescere come persone ed a costruire e rinforzare i rapporti interpersonali che conducono allo star bene con se stessi e con gli altri.

Bepo fu una di queste figure di allenatore-dirigente atipico, un fratello maggiore, uno zio presso cui spesso rifugiarsi. Un aneddoto: gli amici di Sutrio si ricorderanno ancora della festa vissuta assieme, con l’assai discreta regia di Bepo, nel dopo partita in quel della “Stella d’Oro” di Villa di Verzegnis nel settembre 1983, quando più di qualcuno se ne tornò a casa a tarda sera non solo ben carico di qualcosa che non erano certamente i palloni, ma soprattutto col vivo  – e pensiamo duraturo – ricordo di una gran festa vissuta nel segno dell’amicizia, figlia dello sport inteso nel suo vero e profondo significato. Questo era il suo modo di vivere il calcio nella nostra Carnia. Per tutti era il principale punto di riferimento positivo, di ritrovo e di aggregazione, soprattutto giovanile.

Di lui conserviamo ancora ben vivo il sorriso, l’affabilità, la cordialità. Tutto in lui, dallo sguardo ai gesti più semplici, trasmetteva serenità e una parola accomodante, un incoraggiamento, una spinta ad una visione positiva e gioiosa della vita erano doni elargiti copiosamente a tutti, unitamente ad un sorriso seguito da una contagiosa risata. E così, sorridente, lo ricordiamo.


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TOP 11 CAMPIONATO 2010
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